Viaggiare, considerazioni...
Nel secolo XVIII era in auge viaggiare e conoscere molti paesi stranieri. Naturalmente riguardava le classi abbienti e in particolare gli intellettuali del tempo. Una delle mete preferite era l’Italia. Di questi viaggi possediamo tanti diari e lettere, che oggi ci permettono di conoscere tanti aspetti e realtà italiane altrimenti smarriti nell’oblio.
Nel ponte di Ognissanti mi sono recato a Milano per svariati motivi. Un motivo era anche visitare una mostra d’arte a Palazzo Reale: La collezione Thannhauser al GUGGENHEIM di New York. Da Van Gogh a Picasso. L’insieme di quadri presentati per la prima volta in Italia è talmente ragguardevole per numero e per qualità da lasciare senza respiro. Il visitatore vive la sindrome di Stendhal per l’incomparabile bellezza ivi rappresentata. Pare quasi impossibile che l’uomo sia capace di creare si fatta bellezza, eppure è così. L’uomo è capace di bellezza, una bellezza trascendente, metafisica e perciò eterna. In particolare mi hanno impressionato due opere di Picasso: la ragazza con la mantiglia nera e la ragazza dai capelli gialli. La prima rappresenta a mezzo busto una ragazza con il capo coperto da un velo nero; ella ha uno sguardo inafferrabile, quasi algido proiettato oltre l’osservatore, alla ricerca di qualcosa che ancora non si appalesa e non è chiaro, definito. Richiamo potente di tutta la fatica e la ricerca dell’uomo, ricerca inesausta ed appassionante allo stesso tempo. La seconda raffigura il volto sognante di una fanciulla avvolta e immersa nell’esperienza amorosa, quella vissuta con il pittore. Di questa esperienza si coglie l’abbandono fiducioso ed appagante proprio delle relazioni vere e importanti. Ecce homo. Ecco l’uomo.
Tutto ciò veniva negativamente segnato da un’altra esperienza. Sono in metrò, stanco e affaticato. Cerco speranzoso un posto per sedermi. Naturalmente tutti i posti sono occupati. Diversi sono i bambini con i loro genitori. Da parte di questi genitori non un cenno, un invito a sedermi lasciando libero un posto; a dire il vero alcuni di loro sono in piedi e i loro pargoli (divini!?) beatamente seduti, spaparanzati sui sedili. No! Così non va. Appartiene all’uomo la buona educazione, il rispetto dell’altro, l’essere gentile e delicato verso coloro che hanno teste canute. No! Questi genitori hanno mancato al loro dovere e impegno educativo dovuto ai loro figli, che cresceranno senza avere in onore l’anziano.
Nei momenti di pausa ho letto due trattatelli: Ragazzi in panchina ed Elogio della pigrizia. Il primo si occupa dei così detti Neet, ovvero riporta storie di giovani che non studiano e non lavorano. In particolare mi ha colpito la metafora usata da uno di loro per rappresentarsi: “… sono un rotolo di scotch; c’è da impazzire quando si appiccica su se stesso, tanto da non trovare più il bandolo, l’inizio e così va buttato via, oppure si deve scorticarlo per vedere di recuperare qualche pezzetto. Ecco, questo scotch sono io …”. Racconti densi di dignità ma anche di sofferenza, di fatica del vivere, di svantaggio sociale e culturale. La cultura, lo studio, le competenze acquisite, una professione sono il vero riscatto per ognuno e la via principale per il successo personale; tutto il resto è solo incantatorio, come le sirene di Ulisse e purtroppo molteplici sono le sirene dell’oggi… Il secondo libretto ci riconduce a stili di vita più umani. Solo un breve passaggio: “Quando Cartesio ebbe il sogno profetico che decise della sua vocazione, egli praticava ciò che ai giorni nostri si chiamerebbe una dolce “fiacca”. Anche Newton sotto il suo albero, e Archimede nel suo bagno. E quando Platone conversava familiarmente con i suoi amici nei giardini dell’Accademia, non praticava davvero quel che il nostro secolo chiama “vita intensa”. I suoi dialoghi, del resto, non sono tutto vagabondaggio?”. Se traduciamo la parola pigrizia con lentezza, siamo di fronte a un elogio di una virtù che molti oggi invocano, dal cibo alla gestione più rallentata dei ritmi della vita quotidiana. Per gustare le cose belle che ci circondano, occorre ogni tanto fermarsi.
Al rientro nella vita ordinaria dell’Istituto due sono le sottolineature che ritengo bello poter condividere. È pervenuta una lettera scritta dalla mamma di una allieva. Questa allieva sta vivendo un periodo molto difficile a causa di una patologia assai severa. La mamma ringraziava, con parole assai commoventi, le compagne di classe della figlia per la loro vicinanza, affetto e sensibilità dimostrate in questi mesi verso la propria figliola. Ecco: questa è la bellezza di cui è capace l’uomo. Queste allieve evidenziano e rappresentano la parte migliore dell’umanità. A loro il mio grazie, spero condiviso da tutti. Seconda sottolineatura. Sono stato invitato da una classe prima a visionare delle loro presentazioni in Ppoint per raccontare le loro esperienze fatte sul territorio. Sono rimasto positivamente colpito sia per la qualità del lavoro, sia per la capacità di coinvolgere tutti gli allievi e sia per la scioltezza espositiva. Un grazie a loro per il lavoro svolto e un grazie ai docenti che li stanno accompagnando in queste rinnovate forme di apprendimento.
A tutti buon lavoro e buon cammino formativo.